Fotografie del Passato. Il non ritorno.

Due occhi bellissimi

Era una notte di Settembre (o Novembre, non ricordo), e l’anno doveva essere l’89 o giù di lì. Le date non sono mai state il mio forte, lo ammetto. Comunque una cosa era certa: era notte!
Era notte fonda, le quattro e mezza per l’esattezza (l’ora la ricordo ancora, strano vero?), mi giravo e rigiravo nel letto senza riuscire a prendere sonno. Ero a Torino, all’epoca vivevo da solo, e i tormenti notturni che mi assalivano improvvisi dovevo tenerli per me, senza avere la possibilità di sfogarli con qualcuno. Periodaccio!
Fatto sta che dopo mille e mille ripensamenti, mi alzai di scatto dal letto e dissi a voce alta: «Lo faccio».
Già, dissi proprio così. Lo faccio!
E non sto raccontando balle, sembrerebbe di descrivere il comportamento di uno dei tanti personaggi che qualche volta mi viene da inventare nelle mie storie, ma vi assicuro che feci proprio così.
Mi alzai dal letto scaraventando le lenzuola, e dissi lo faccio.
Accessi il computer, lanciai il wordstar (all’epoca versione 2 o 3) e cominciai a scrivere il primo capitolo di Fotografie del passato.
Era la prima volta che mi veniva in mente di scrivere, ma se mi scaraventai giù dal letto durante quell’insonne notte di tanti anni fa, fu proprio perché qualcosa era esplosa in me. Sentivo la storia che poi ho scritto nel libro crescermi dentro, tanto che fu un vero e proprio atto liberatorio quello di metterla su carta.
In seguito (sempre di notte) continuai a scrivere altri capitoli; era più forte di me, ma il Vietnam, i soldati tedeschi, la Seconda Guerra mondiale, le prigioni naziste e tutto il resto mi assillavano prepotentemente e io non potei far altro che assecondare i miei impeti.
Scrissi una decina di capitoli in tutto, poi, non so perché, mi fermai. Gli anni passarono, partii militare e quasi mi dimenticai del libro chiuso nel cassetto. Non dissi mai a nessuno di aver scritto qualcosa, e nessuno mai lesse niente di quel romanzo lasciato a metà.
La mia mente, però, ripescò subito quella storia dagli archivi polverosi dei miei ricordi quando conobbi Francesca.
Due occhi bellissimi.
Fotografie del passato e Francesca sono due concetti della mia vita che vanno di pari passo. Sì perché, vedendo quei suoi due occhi bellissimi (verdi come solo nelle mie più profonde fantasie avrei mai potuto immaginare), non potei fare a meno di ricordare la protagonista di questo romanzo, che pure all’epoca era la proiezione del prototipo di ragazza che tanto avrei voluto conoscere.
Fu un tac, una specie di campanello interno nel mio cervello, che si accese appena poggiai per la prima volta il mio sguardo dentro quel mare verde limpido che mi fece innamorare.
Non chiedetemi come sia possibile, ma la mia Francesca è proprio identica alla Bonny del romanzo che pure inventai e immaginai anni prima del fatale incontro!
Fu un vero colpo, ve lo assicuro. Innamorarmi di Francesca e ripensare a Bonny fu tutt’uno.
Rispolverai il romanzo dal famoso cassetto e feci una cosa che, fino a prima, non avrei mai lontanamente immaginato di fare. Consegnai il manoscritto di Fotografie del passato a Francy e le chiesi di leggerlo, pur prevedendo lo scarso successo cui andavo incontro.
All’epoca, prima dei successivi ritocchi, Fotografie del passato era una storia molto strana e un tantino confusa (come del resto lo era la mia mente), ed ero sicuro che Francy non sarebbe riuscita ad entrare nella storia come avevo fatto io che l’avevo scritta. Tanto più che il romanzo non aveva ancora un finale!
La sorpresa però fu davvero inaspettata! Ricordo ancora la scena.
Francesca scese dalle scale di casa, con il manoscritto tra le mani, gridando: «E’ bellissimo!».
Rimasi colpito ed esterrefatto, non avevo mai preso in considerazione il fatto che a qualcuno potesse piacere ciò che io avevo scritto. Posso ora dire con certezza che fu proprio grazie a lei che approfondii questa mia passione per lo scrivere.
Ripresi il romanzo tra le mani e lo ripulii di tutte le imperfezioni e gli errori che la foga iniziale mi aveva fatto commettere, gli diedi una forma più accettabile pur mantenendo lo stesso stile veloce e scorrevole che allora era il mio modo di esternare le storie e le fantasie che sentivo crescere dentro.
A questa seconda revisione non aggiunsi però niente di nuovo, riposi nuovamente nel cassetto polveroso della dimenticanza il romanzo, e per un bel pezzo non ci pensai più. Nel frattempo scrissi Giorni di follia (altra storia a cui sono veramente affezionato), la cui pubblicazione in copie ridotte e personali rivelò definitivamente a tutti la mia passione per lo scrivere e per l’inventare storie.
Ma accadde nuovamente qualcosa. Venerdì 17 Marzo 1995 (la data è puramente casuale, lo giuro) ripresi ancora fra le mani questo romanzo, lo rilessi e lo terminai.
Sono molto legato a questo libro, non so se qualcuno al di fuori di me e Francy lo leggerà e non so neanche se piacerà. Ma questo libro ha segnato in un certo qual modo la mia vita, e se da un lato mi ha incoraggiato ad intraprendere l’arte dello scrivere (fino ad oggi ancora solo come hobby), dall’altro mi ha fatto capire quanto Francesca sia un cardine fondamentale per la mia vita (e lei sa bene perché!).
Non mi aspetto che chi lo legga gridi: «E’ bellissimo!», spero comunque che riesca almeno a trarre un po’ di quel divertimento che spesso la vita ci sottrae.
Questa storia può forse apparire contorta e surreale, a volte addirittura assurda e incomprensibile (molto, forse, per colpa di quello stile veloce che ho voluto conservare in memoria dell’impeto che avevo quando ho cominciato a scriverla), ma credo che, se letta aprendo al massimo le valvole della nostra fantasia, può anche risultare emozionante.
A volte, credo sia meglio lasciarsi coinvolgere nelle cose senza stare tanto tempo a chiedersi il perché o il percome. Tutti noi abbiamo grandi ali attaccate alla nostra fantasia, dispieghiamole quindi quanto meglio possiamo, e facciamo insieme un tuffo in quel grande mare verde che ci permette di sognare.

Occhi bellissimi, a te e al tuo dolce sorriso.

Igor.